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700 ANNI DALLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI - CANTO XV PURGATORIO

Quanto tra l’ultimar de l’ora terza
e ’l principio del dì par de la spera
che sempre a guisa di fanciullo scherza,3

tanto pareva già inver’ la sera
essere al sol del suo corso rimaso;
vespero là, e qui mezza notte era.6

E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso,
perché per noi girato era sì ’l monte,
che già dritti andavamo inver’ l’occaso,9

quand’io senti’ a me gravar la fronte
a lo splendore assai più che di prima,
e stupor m’eran le cose non conte;12

ond’io levai le mani inver’ la cima
de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio,
che del soverchio visibile lima.15

Come quando da l'acqua o da lo specchio
salta lo raggio a l'opposita parte,
salendo sù per lo modo parecchio18

a quel che scende, e tanto si diparte
dal cader de la pietra in igual tratta
,
sì come mostra esperïenza e arte;21

così mi parve da luce rifratta
quivi dinanzi a me esser percosso;
per che a fuggir la mia vista fu ratta.24

"Che è quel, dolce padre, a che non posso
schermar lo viso tanto che mi vaglia",
diss’io, "e pare inver’ noi esser mosso?".27

"Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia
la famiglia del cielo", a me rispuose:
"messo è che viene ad invitar ch’om saglia.30

Tosto sarà ch’a veder queste cose
non ti fia grave, ma fieti diletto
quanto natura a sentir ti dispuose".33

Poi giunti fummo a l’angel benedetto,
con lieta voce disse: "Intrate quinci
ad un scaleo vie men che li altri eretto".36

Noi montavam, già partiti di linci,
e ’Beati misericordes!’ fue
cantato retro, e ’Godi tu che vinci!’.39

Lo mio maestro e io soli amendue
suso andavamo; e io pensai, andando,
prode acquistar ne le parole sue;42

e dirizza’ mi a lui sì dimandando:
"Che volse dir lo spirto di Romagna,
e 'divieto' e 'consorte' menzionando?
".45

Per ch’elli a me: "Di sua maggior magagna
conosce il danno; e però non s’ammiri
se ne riprende perché men si piagna.48

Perché s’appuntano i vostri disiri
dove per compagnia parte si scema,
invidia move il mantaco a’ sospiri.51

Ma se l’amor de la spera supprema
torcesse in suso il disiderio vostro,
non vi sarebbe al petto quella tema;54

ché, per quanti si dice più lì ’nostro’,
tanto possiede più di ben ciascuno,
e più di caritate arde in quel chiostro".57

"Io son d’esser contento più digiuno",
diss’io, "che se mi fosse pria taciuto,
e più di dubbio ne la mente aduno.60

Com’esser puote ch’un ben, distributo
in più posseditor, faccia più ricchi
di sé che se da pochi è posseduto?".63

Ed elli a me: "Però che tu rificchi
la mente pur a le cose terrene,
di vera luce tenebre dispicchi.66

Quello infinito e ineffabil bene
che là sù è, così corre ad amore
com’a lucido corpo raggio vene.69

Tanto si dà quanto trova d’ardore;
sì che, quantunque carità si stende,
cresce sovr’essa l’etterno valore.72

E quanta gente più là sù s’intende,
più v’è da bene amare, e più vi s’ama,
e come specchio l’uno a l’altro rende.75

E se la mia ragion non ti disfama,
vedrai Beatrice, ed ella pienamente
ti torrà questa e ciascun’altra brama.78

Procaccia pur che tosto sieno spente,
come son già le due, le cinque piaghe,
che si richiudon per esser dolente".81

Com’io voleva dicer ’Tu m’appaghe’,
vidimi giunto in su l’altro girone,
sì che tacer mi fer le luci vaghe.84

Ivi mi parve in una visïone
estatica di sùbito esser tratto,
e vedere in un tempio più persone;87

e una donna, in su l’entrar, con atto
dolce di madre dicer: "Figliuol mio,
perché hai tu così verso noi fatto?90

Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
ti cercavamo". E come qui si tacque,
ciò che pareva prima, dispario.93

Indi m’apparve un’altra con quell’acque
giù per le gote che ’l dolor distilla
quando di gran dispetto in altrui nacque,96

e dir: "Se tu se’ sire de la villa
del cui nome ne’ dèi fu tanta lite,
e onde ogne scïenza disfavilla,99

vendica te di quelle braccia ardite
ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto".
E ’l segnor mi parea, benigno e mite,102

risponder lei con viso temperato:
"Che farem noi a chi mal ne disira,
se quei che ci ama è per noi condannato?".105

Poi vidi genti accese in foco d’ira
con pietre un giovinetto ancider, forte
gridando a sé pur: "Martira, martira!".108

E lui vedea chinarsi, per la morte
che l’aggravava già, inver’ la terra,
ma de li occhi facea sempre al ciel porte,111

orando a l’alto Sire, in tanta guerra,
che perdonasse a’ suoi persecutori,
con quello aspetto che pietà diserra.114

Quando l’anima mia tornò di fori
a le cose che son fuor di lei vere,
io riconobbi i miei non falsi errori.117

Lo duca mio, che mi potea vedere
far sì com’om che dal sonno si slega,
disse: "Che hai che non ti puoi tenere,120

ma se’ venuto più che mezza lega
velando li occhi e con le gambe avvolte,
a guisa di cui vino o sonno piega?".123

"O dolce padre mio, se tu m’ascolte,
io ti dirò", diss’io, "ciò che m’apparve
quando le gambe mi furon sì tolte".126

Ed ei: "Se tu avessi cento larve
sovra la faccia, non mi sarian chiuse
le tue cogitazion, quantunque parve.129

Ciò che vedesti fu perché non scuse
d’aprir lo core a l’acque de la pace
che da l’etterno fonte son diffuse.132

Non dimandai "Che hai?" per quel che face
chi guarda pur con l’occhio che non vede,
quando disanimato il corpo giace;135

ma dimandai per darti forza al piede:
così frugar conviensi i pigri, lenti
ad usar lor vigilia quando riede".138

Noi andavam per lo vespero, attenti
oltre quanto potean li occhi allungarsi
contra i raggi serotini e lucenti.141

Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
verso di noi come la notte oscuro;
né da quello era loco da cansarsi.144

Questo ne tolse li occhi e l’aere puro.

SERVIZI SOCIALI
Dante Alighieri
Ott 22

700 ANNI DALLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI - CANTO V PURGATORIO

Io era già da quell’ombre partito,
e seguitava l’orme del mio duca,
quando di retro a me, drizzando ’l dito,3

una gridò: "Ve’ che non par che luca
lo raggio da sinistra a quel di sotto,
e come vivo par che si conduca!".6

Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
e vidile guardar per maraviglia
pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.9

"Perché l’animo tuo tanto s’impiglia",
disse ’l maestro, "che l’andare allenti?
che ti fa ciò che quivi si pispiglia?12

Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti;15

ché sempre l’omo in cui pensier rampolla
sovra pensier, da sé dilunga il segno,
perché la foga l’un de l’altro insolla
".18

Che potea io ridir, se non "Io vegno"?
Dissilo, alquanto del color consperso
che fa l’uom di perdon talvolta degno.21

E ’ntanto per la costa di traverso
venivan genti innanzi a noi un poco,
cantando ’Miserere’ a verso a verso.24

Quando s’accorser ch’i’ non dava loco
per lo mio corpo al trapassar d’i raggi,
mutar lor canto in un "oh!" lungo e roco;27

e due di loro, in forma di messaggi,
corsero incontr’a noi e dimandarne:
"Di vostra condizion fatene saggi".30

E ’l mio maestro: "Voi potete andarne
e ritrarre a color che vi mandaro
che ’l corpo di costui è vera carne.33

Se per veder la sua ombra restaro,
com’io avviso, assai è lor risposto:
fàccianli onore, ed esser può lor caro".36

Vapori accesi non vid’io sì tosto
di prima notte mai fender sereno,
né, sol calando, nuvole d’agosto,39

che color non tornasser suso in meno;
e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
come schiera che scorre sanza freno.42

"Questa gente che preme a noi è molta,
e vegnonti a pregar", disse ’l poeta:
"però pur va, e in andando ascolta".45

"O anima che vai per esser lieta
con quelle membra con le quai nascesti",
venian gridando, "un poco il passo queta.48

Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,
sì che di lui di là novella porti:
deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?51

Noi fummo tutti già per forza morti,
e peccatori infino a l’ultima ora;
quivi lume del ciel ne fece accorti,54

sì che, pentendo e perdonando, fora
di vita uscimmo a Dio pacificati,
che del disio di sé veder n’accora".57

E io: "Perché ne’ vostri visi guati,
non riconosco alcun; ma s’a voi piace
cosa ch’io possa, spiriti ben nati,60

voi dite, e io farò per quella pace
che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,
di mondo in mondo cercar mi si face".63

E uno incominciò: "Ciascun si fida
del beneficio tuo sanza giurarlo,
pur che ’l voler nonpossa non ricida.66

Ond'io, che solo innanzi a li altri parlo,
ti priego, se mai vedi quel paese
che siede tra Romagna e quel di Carlo,69

che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
in Fano, sì che ben per me s’adori
pur ch’i’ possa purgar le gravi offese.
72

Quindi fu’ io; ma li profondi fóri
ond’uscì ’l sangue in sul quale io sedea,
fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,75

là dov’io più sicuro esser credea:
quel da Esti il fé far, che m’avea in ira
assai più là che dritto non volea.78

Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira,
quando fu’ sovragiunto ad Orïaco,
ancor sarei di là dove si spira.81

Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco
m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io
de le mie vene farsi in terra laco".84

Poi disse un altro: "Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l’alto monte,
con buona pïetate aiuta il mio!87

Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch’io vo tra costor con bassa fronte".90

E io a lui: "Qual forza o qual ventura
ti travïò sì fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura?".93

"Oh!", rispuos’elli, "a piè del Casentino
traversa un’acqua c’ ha nome l’Archiano,
che sovra l’Ermo nasce in Apennino.96

Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,
arriva’ io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano.99

Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini’, e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.102

Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?105

Tu te ne porti di costui l’etterno
per una lagrimetta che ’l mi toglie;
ma io farò de l’altro altro governo!".108

Ben sai come ne l’aere si raccoglie
quell’umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove ’l freddo il coglie.111

Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento
per la virtù che sua natura diede.114

Indi la valle, come ’l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,117

sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde, e a’ fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse;120

e come ai rivi grandi si convenne,
ver’ lo fiume real tanto veloce
si ruinò, che nulla la ritenne.123

Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce126

ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse".129

"Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via",
seguitò 'l terzo spirito al secondo,132

"ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ’nnanellata pria135

disposando m’avea con la sua gemma".

SERVIZI SOCIALI
Dante Alighieri
Set 16

700 ANNI DALLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI - CANTO XIV PURGATORIO

"Chi è costui che ’l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?".3

"Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo;
domandal tu che più li t’avvicini,
e dolcemente, sì che parli, acco’ lo".6

Così due spirti, l’uno a l’altro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta;
poi fer li visi, per dirmi, supini;9

e disse l’uno: "O anima che fitta
nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai,
per carità ne consola e ne ditta12

onde vieni e chi se’; ché tu ne fai
tanto maravigliar de la tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu più mai".15

E io: "Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce in Falterona,
e cento miglia di corso nol sazia.18

Di sovr’esso rech’io questa persona:
dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno,
ché ’l nome mio ancor molto non suona".21

"Se ben lo ’ntendimento tuo accarno
con lo ’ntelletto", allora mi rispuose
quei che diceva pria, "tu parli d’Arno".24

E l’altro disse lui: "Perché nascose
questi il vocabol di quella riviera,
pur com’om fa de l’orribili cose?".27

E l’ombra che di ciò domandata era,
si sdebitò così: "Non so; ma degno
ben è che ’l nome di tal valle pèra;30

ché dal principio suo, ov’è sì pregno
l’alpestro monte ond’è tronco Peloro,
che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno,33

infin là ’ve si rende per ristoro
di quel che ’l ciel de la marina asciuga,
ond’ hanno i fiumi ciò che va con loro,36

vertù così per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
del luogo, o per mal uso che li fruga:39

ond’ hanno sì mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
che par che Circe li avesse in pastura.42

Tra brutti porci, più degni di galle
che d’altro cibo fatto in uman uso,
dirizza prima il suo povero calle.45

Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi più che non chiede lor possa,
e da lor disdegnosa torce il muso.48

Vassi caggendo; e quant’ella più ’ngrossa,
tanto più trova di can farsi lupi
la maladetta e sventurata fossa.51

Discesa poi per più pelaghi cupi,
trova le volpi sì piene di froda,
che non temono ingegno che le occùpi.54

Né lascerò di dir perch’altri m’oda;
e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta
di ciò che vero spirto mi disnoda.57

Io veggio tuo nepote che diventa
cacciator di quei lupi in su la riva
del fiero fiume, e tutti li sgomenta.60

Vende la carne loro essendo viva;
poscia li ancide come antica belva;
molti di vita e sé di pregio priva.63

Sanguinoso esce de la trista selva;
lasciala tal, che di qui a mille anni
ne lo stato primaio non si rinselva".66

Com’a l’annunzio di dogliosi danni
si turba il viso di colui ch’ascolta,
da qual che parte il periglio l’assanni,69

così vid’io l’altr’anima, che volta
stava a udir, turbarsi e farsi trista,
poi ch’ebbe la parola a sé raccolta.72

Lo dir de l’una e de l’altra la vista
mi fer voglioso di saper lor nomi,
e dimanda ne fei con prieghi mista;75

per che lo spirto che di pria parlòmi
ricominciò: "Tu vuo’ ch’io mi deduca
nel fare a te ciò che tu far non vuo’ mi.78

Ma da che Dio in te vuol che traluca
tanto sua grazia, non ti sarò scarso;
però sappi ch’io fui Guido del Duca.81

Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso,
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m’avresti di livore sparso.84

Di mia semente cotal paglia mieto;
o gente umana, perché poni ’l core
là ’v’è mestier di consorte divieto?87

Questi è Rinier; questi è ’l pregio e l’onore
de la casa da Calboli, ove nullo
fatto s’è reda poi del suo valore.90

E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
tra ’l Po e ’l monte e la marina e ’l Reno,
del ben richesto al vero e al trastullo;93

ché dentro a questi termini è ripieno
di venenosi sterpi, sì che tardi
per coltivare omai verrebber meno.96

Ov’è ’l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
Oh Romagnuoli tornati in bastardi!99

Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
verga gentil di picciola gramigna?
102

Non ti maravigliar s’io piango, Tosco,
quando rimembro, con Guido da Prata,
Ugolin d’Azzo che vivette nosco,105

Federigo Tignoso e sua brigata,
la casa Traversara e li Anastagi
(e l’una gente e l’altra è diretata),108

le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi
che ne ’nvogliava amore e cortesia
là dove i cuor son fatti sì malvagi.111

O Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se n’è la tua famiglia
e molta gente per non esser ria?114

Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
che di figliar tai conti più s’impiglia.117

Ben faranno i Pagan, da che ’l demonio
lor sen girà; ma non però che puro
già mai rimagna d’essi testimonio.120

O Ugolin de’ Fantolin, sicuro
è ’l nome tuo, da che più non s’aspetta
chi far lo possa, tralignando, scuro.123

Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta
troppo di pianger più che di parlare,
sì m’ ha nostra ragion la mente stretta".126

Noi sapavam che quell’anime care
ci sentivano andar; però, tacendo,
facëan noi del cammin confidare.129

Poi fummo fatti soli procedendo,
folgore parve quando l’aere fende,
voce che giunse di contra dicendo:132

’Anciderammi qualunque m’apprende’;
e fuggì come tuon che si dilegua,
se sùbito la nuvola scoscende.135

Come da lei l’udir nostro ebbe triegua,
ed ecco l’altra con sì gran fracasso,
che somigliò tonar che tosto segua:138

"Io sono Aglauro che divenni sasso";
e allor, per ristrignermi al poeta,
in destro feci, e non innanzi, il passo.141

Già era l’aura d’ogne parte queta;
ed el mi disse: "Quel fu ’l duro camo
che dovria l’uom tener dentro a sua meta.144

Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo
de l’antico avversaro a sé vi tira;
e però poco val freno o richiamo.147

Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira,
mostrandovi le sue bellezze etterne,
e l’occhio vostro pur a terra mira;150

onde vi batte chi tutto discerne".

SERVIZI SOCIALI
Dante Alighieri
Ott 20

700 ANNI DALLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI - CANTO IV PURGATORIO

Quando per dilettanze o ver per doglie,
che alcuna virtù nostra comprenda,
l’anima bene ad essa si raccoglie,3

par ch’a nulla potenza più intenda;
e questo è contra quello error che crede
ch’un’anima sovr’altra in noi s’accenda.6

E però, quando s’ode cosa o vede
che tegna forte a sé l’anima volta,
vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede;9

ch’altra potenza è quella che l’ascolta,
e altra è quella c’ ha l’anima intera:
questa è quasi legata e quella è sciolta.12

Di ciò ebb’io esperïenza vera,
udendo quello spirto e ammirando;
ché ben cinquanta gradi salito era15

lo sole, e io non m’era accorto, quando
venimmo ove quell’anime ad una
gridaro a noi: "Qui è vostro dimando".18

Maggiore aperta molte volte impruna
con una forcatella di sue spine
l’uom de la villa quando l’uva imbruna,21

che non era la calla onde salìne
lo duca mio, e io appresso, soli,
come da noi la schiera si partìne.24

Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e ’n Cacume
con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;27

dico con l’ale snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
che speranza mi dava e facea lume.30

Noi salavam per entro ’l sasso rotto,
e d’ogne lato ne stringea lo stremo,
e piedi e man volea il suol di sotto.33

Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo
de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,
"Maestro mio", diss’io, "che via faremo?".36

Ed elli a me: "Nessun tuo passo caggia;
pur su al monte dietro a me acquista,
fin che n’appaia alcuna scorta saggia".39

Lo sommo er'alto che vincea la vista,
e la costa superba più assai
che da mezzo quadrante a centro lista.
42

Io era lasso, quando cominciai:
"O dolce padre, volgiti, e rimira
com’io rimango sol, se non restai".45

"Figliuol mio", disse, "infin quivi ti tira",
additandomi un balzo poco in sùe
che da quel lato il poggio tutto gira.48

Sì mi spronaron le parole sue,
ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui,
tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue.51

A seder ci ponemmo ivi ambedui
vòlti a levante ond’eravam saliti,
che suole a riguardar giovare altrui.54

Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
poscia li alzai al sole, e ammirava
che da sinistra n’eravam feriti.57

Ben s’avvide il poeta ch’ïo stava
stupido tutto al carro de la luce,
ove tra noi e Aquilone intrava.60

Ond’elli a me: "Se Castore e Poluce
fossero in compagnia di quello specchio
che sù e giù del suo lume conduce,63

tu vedresti il Zodïaco rubecchio
ancora a l’Orse più stretto rotare,
se non uscisse fuor del cammin vecchio.66

Come ciò sia, se ’l vuoi poter pensare,
dentro raccolto, imagina Sïòn
con questo monte in su la terra stare69

sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn
e diversi emisperi; onde la strada
che mal non seppe carreggiar Fetòn,72

vedrai come a costui convien che vada
da l’un, quando a colui da l’altro fianco,
se lo ’ntelletto tuo ben chiaro bada".75

"Certo, maestro mio", diss’io, "unquanco
non vid’io chiaro sì com’io discerno
là dove mio ingegno parea manco,78

che ’l mezzo cerchio del moto superno,
che si chiama Equatore in alcun’arte,
e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno,81

per la ragion che di’, quinci si parte
verso settentrïon, quanto li Ebrei
vedevan lui verso la calda parte.84

Ma se a te piace, volontier saprei
quanto avemo ad andar; ché ’l poggio sale
più che salir non posson li occhi miei".87

Ed elli a me: "Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant’om più va sù, e men fa male.90

Però, quand’ella ti parrà soave
tanto, che sù andar ti fia leggero
com’a seconda giù andar per nave,93

allor sarai al fin d’esto sentiero;
quivi di riposar l’affanno aspetta.
Più non rispondo, e questo so per vero".96

E com’elli ebbe sua parola detta,
una voce di presso sonò: "Forse
che di sedere in pria avrai distretta!".99

Al suon di lei ciascun di noi si torse,
e vedemmo a mancina un gran petrone,
del qual né io né ei prima s’accorse.102

Là ci traemmo; e ivi eran persone
che si stavano a l’ombra dietro al sasso
come l’uom per negghienza a star si pone.105

E un di lor, che mi sembiava lasso,
sedeva e abbracciava le ginocchia,
tenendo ’l viso giù tra esse basso.108

"O dolce segnor mio", diss’io, "adocchia
colui che mostra sé più negligente
che se pigrizia fosse sua serocchia".111

Allor si volse a noi e puose mente,
movendo ’l viso pur su per la coscia,
e disse: "Or va tu sù, che se’ valente!".114

Conobbi allor chi era, e quella angoscia
che m’avacciava un poco ancor la lena,
non m’impedì l’andare a lui; e poscia117

ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena,
dicendo: "Hai ben veduto come ’l sole
da l’omero sinistro il carro mena?".120

Li atti suoi pigri e le corte parole
mosser le labbra mie un poco a riso;
poi cominciai: "Belacqua, a me non dole123

di te omai; ma dimmi: perché assiso
quiritto se’ ? attendi tu iscorta,
o pur lo modo usato t’ ha’ ripriso?".126

Ed elli: "O frate, andar in sù che porta?
ché non mi lascerebbe ire a’ martìri
l’angel di Dio che siede in su la porta.129

Prima convien che tanto il ciel m’aggiri
di fuor da essa, quanto fece in vita,
perch’io ’ndugiai al fine i buon sospiri,132

se orazïone in prima non m’aita
che surga sù di cuor che in grazia viva;
l’altra che val, che ’n ciel non è udita?".135

E già il poeta innanzi mi saliva,
e dicea: "Vienne omai; vedi ch’è tocco
meridïan dal sole, e a la riva138

cuopre la notte già col piè Morrocco".

SERVIZI SOCIALI
Dante Alighieri
Set 13

700 ANNI DALLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI - CANTO XIII PURGATORIO

Noi eravamo al sommo de la scala,
dove secondamente si risega
lo monte che salendo altrui dismala.3

Ivi così una cornice lega
dintorno il poggio, come la primaia;
se non che l’arco suo più tosto piega.6

Ombra non lì è né segno che si paia:
parsi la ripa e parsi la via schietta
col livido color de la petraia.9

"Se qui per dimandar gente s’aspetta",
ragionava il poeta, "io temo forse
che troppo avrà d’indugio nostra eletta".12

Poi fisamente al sole li occhi porse;
fece del destro lato a muover centro,
e la sinistra parte di sé torse.15

"O dolce lume a cui fidanza i’ entro
per lo novo cammin, tu ne conduci",
dicea, "come condur si vuol quinc’entro.18

Tu scaldi il mondo, tu sovr’esso luci;
s’altra ragione in contrario non ponta,
esser dien sempre li tuoi raggi duci".21

Quanto di qua per un migliaio si conta,
tanto di là eravam noi già iti,
con poco tempo, per la voglia pronta;24

e verso noi volar furon sentiti,
non però visti, spiriti parlando
a la mensa d’amor cortesi inviti.27

La prima voce che passò volando
’Vinum non habent’altamente disse,
e dietro a noi l’andò reïterando.30

E prima che del tutto non si udisse
per allungarsi, un’altra ’I’ sono Oreste’
passò gridando, e anco non s’affisse.33

"Oh!", diss’io, "padre, che voci son queste?".
E com’io domandai, ecco la terza
dicendo: ’Amate da cui male aveste’.36

E ’l buon maestro: "Questo cinghio sferza
la colpa de la invidia, e però sono
tratte d’amor le corde de la ferza.39

Lo fren vuol esser del contrario suono;
credo che l’udirai, per mio avviso,
prima che giunghi al passo del perdono.42

Ma ficca li occhi per l’aere ben fiso,
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
e ciascun è lungo la grotta assiso".45

Allora più che prima li occhi apersi;
guarda’ mi innanzi, e vidi ombre con manti
al color de la pietra non diversi.48

E poi che fummo un poco più avanti,
udia gridar: ’Maria òra per noi’:
gridar ’Michele’ e ’Pietro’ e ’Tutti santi’.51

Non credo che per terra vada ancoi
omo sì duro, che non fosse punto
per compassion di quel ch’i’ vidi poi;54

ché, quando fui sì presso di lor giunto,
che li atti loro a me venivan certi,
per li occhi fui di grave dolor munto.57

Di vil ciliccio mi parean coperti,
e l’un sofferia l’altro con la spalla,
e tutti da la ripa eran sofferti.60

Così li ciechi a cui la roba falla,
stanno a’ perdoni a chieder lor bisogna,
e l’uno il capo sopra l’altro avvalla,63

perché ’n altrui pietà tosto si pogna,
non pur per lo sonar de le parole,
ma per la vista che non meno agogna.66

E come a li orbi non approda il sole,
così a l’ombre quivi, ond’io parlo ora,
luce del ciel di sé largir non vole;69

ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra
e cusce sì, come a sparvier selvaggio
si fa però che queto non dimora.72

A me pareva, andando, fare oltraggio,
veggendo altrui, non essendo veduto:
per ch’io mi volsi al mio consiglio saggio.75

Ben sapev’ei che volea dir lo muto;
e però non attese mia dimanda,
ma disse: "Parla, e sie breve e arguto".78

Virgilio mi venìa da quella banda
de la cornice onde cader si puote,
perché da nulla sponda s’inghirlanda;81

da l’altra parte m’eran le divote
ombre, che per l’orribile costura
premevan sì, che bagnavan le gote.84

Volsimi a loro e: "O gente sicura",
incominciai, "di veder l’alto lume
che ’l disio vostro solo ha in sua cura,87

se tosto grazia resolva le schiume
di vostra coscïenza sì che chiaro
per essa scenda de la mente il fiume,90

ditemi, ché mi fia grazioso e caro,
s’anima è qui tra voi che sia latina;
e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo".93

"O frate mio, ciascuna è cittadina
d’una vera città; ma tu vuo’ dire
che vivesse in Italia peregrina".96

Questo mi parve per risposta udire
più innanzi alquanto che là dov’io stava,
ond’io mi feci ancor più là sentire.99

Tra l’altre vidi un’ombra ch’aspettava
in vista; e se volesse alcun dir ’Come?’,
lo mento a guisa d’orbo in sù levava.102

"Spirto", diss’io, "che per salir ti dome,
se tu se’ quelli che mi rispondesti,
fammiti conto o per luogo o per nome".105

"Io fui sanese", rispuose, "e con questi
altri rimendo qui la vita ria,
lagrimando a colui che sé ne presti.108

Savia non fui, avvegna che Sapìa
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.111

E perché tu non creda ch’io t’inganni,
odi s’i’ fui, com’io ti dico, folle,
già discendendo l’arco d’i miei anni.114

Eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti co’ loro avversari,
e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle.117

Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari,120

tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia,
gridando a Dio: "Omai più non ti temo!",
come fé ’l merlo per poca bonaccia.123

Pace volli con Dio in su lo stremo
de la mia vita; e ancor non sarebbe
lo mio dover per penitenza scemo,126

se ciò non fosse, ch’a memoria m’ebbe
Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
a cui di me per caritate increbbe.129

Ma tu chi se’, che nostre condizioni
vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
sì com’io credo, e spirando ragioni?".132

"Li occhi", diss’io, "mi fieno ancor qui tolti,
ma picciol tempo, ché poca è l’offesa
fatta per esser con invidia vòlti.135

Troppa è più la paura ond’è sospesa
l’anima mia del tormento di sotto,
che già lo ’ncarco di là giù mi pesa".138

Ed ella a me: "Chi t’ ha dunque condotto
qua sù tra noi, se giù ritornar credi?".
E io: "Costui ch’è meco e non fa motto.141

E vivo sono; e però mi richiedi,
spirito eletto, se tu vuo’ ch’i’ mova
di là per te ancor li mortai piedi".144

"Oh, questa è a udir sì cosa nuova",
rispuose, "che gran segno è che Dio t’ami;
però col priego tuo talor mi giova.147

E cheggioti, per quel che tu più brami,
se mai calchi la terra di Toscana,
che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami.150

Tu li vedrai tra quella gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza ch'a trovar la Diana
;153

ma più vi perderanno li ammiragli".

SERVIZI SOCIALI
Dante Alighieri
Ott 15

700 ANNI DALLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI - CANTO III PURGATORIO

Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,3

i’ mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare’ io sanza lui corso?
chi m’avria tratto su per la montagna?6

El mi parea da sé stesso rimorso:
o dignitosa coscïenza e netta,
come t'è picciol fallo amaro morso!
9

Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l’onestade ad ogn’atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,12

lo ’ntento rallargò, sì come vaga,
e diedi ’l viso mio incontr’al poggio
che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga.15

Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto m’era dinanzi a la figura,
ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio.18

Io mi volsi dallato con paura
d’essere abbandonato, quand’io vidi
solo dinanzi a me la terra oscura;21

e ’l mio conforto: "Perché pur diffidi?",
a dir mi cominciò tutto rivolto;
"non credi tu me teco e ch’io ti guidi?
24

Vespero è già colà dov’è sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra;
Napoli l’ ha, e da Brandizio è tolto.27

Ora, se innanzi a me nulla s’aombra,
non ti maravigliar più che d’i cieli
che l’uno a l’altro raggio non ingombra.30

A sofferir tormenti, caldi e geli
simili corpi la Virtù dispone
che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.33

Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.36

State contenti, umana gente, al quia;
ché, se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria
;39

e disïar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch’etternalmente è dato lor per lutto:42

io dico d’Aristotile e di Plato
e di molt’altri"; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato.45

Noi divenimmo intanto a piè del monte;
quivi trovammo la roccia sì erta,
che ’ndarno vi sarien le gambe pronte.48

Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.51

"Or chi sa da qual man la costa cala",
disse ’l maestro mio fermando ’l passo,
"sì che possa salir chi va sanz’ala?".54

E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso
essaminava del cammin la mente,
e io mirava suso intorno al sasso,57

da man sinistra m’apparì una gente
d’anime, che movieno i piè ver’ noi,
e non pareva, sì venïan lente.60

"Leva", diss’io, "maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi".63

Guardò allora, e con libero piglio
rispuose: "Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;
e tu ferma la spene, dolce figlio".66

Ancora era quel popol di lontano,
i’ dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon gittator trarria con mano,69

quando si strinser tutti ai duri massi
de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
com’a guardar, chi va dubbiando, stassi.72

"O ben finiti, o già spiriti eletti",
Virgilio incominciò, "per quella pace
ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,75

ditene dove la montagna giace,
sì che possibil sia l’andare in suso;
ché perder tempo a chi più sa più spiace".78

Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l'altre stanno
timidette atterrando l'occhio e 'l muso;81

e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
semplici e quete, e lo ’mperché non sanno
;84

sì vid’io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne l’andare onesta.87

Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
sì che l’ombra era da me a la grotta,90

restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto.93

"Sanza vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
per che ’l lume del sole in terra è fesso.96

Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
cerchi di soverchiar questa parete".99

Così ’l maestro; e quella gente degna
"Tornate", disse, "intrate innanzi dunque",
coi dossi de le man faccendo insegna.102

E un di loro incominciò: "Chiunque
tu se’, così andando, volgi ’l viso:
pon mente se di là mi vedesti unque".105

Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.
108

Quand’io mi fui umilmente disdetto
d’averlo visto mai, el disse: "Or vedi";
e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.111

Poi sorridendo disse: "Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond’io ti priego che, quando tu riedi,114

vadi a mia bella figlia, genitrice
de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice.117

Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.120

Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.
123

Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,126

l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.129

Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde,
dov’e’ le trasmutò a lume spento.132

Per lor maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, l'etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.
135

Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore,138

per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,
in sua presunzïon, se tal decreto
più corto per buon prieghi non diventa.141

Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come m’ hai visto, e anco esto divieto;144

ché qui per quei di là molto s’avanza".

SERVIZI SOCIALI
Dante Alighieri
Set 09

700 ANNI DALLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI - CANTO XII PURGATORIO

Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m’andava io con quell’anima carca,
fin che ’l sofferse il dolce pedagogo.3

Ma quando disse: "Lascia lui e varca;
ché qui è buono con l’ali e coi remi,
quantunque può, ciascun pinger sua barca";6

dritto sì come andar vuolsi rife’ mi
con la persona, avvegna che i pensieri
mi rimanessero e chinati e scemi.9

Io m’era mosso, e seguia volontieri
del mio maestro i passi, e amendue
già mostravam com’eravam leggeri;12

ed el mi disse: "Volgi li occhi in giùe:
buon ti sarà, per tranquillar la via,
veder lo letto de le piante tue".15

Come, perché di lor memoria sia,
sovra i sepolti le tombe terragne
portan segnato quel ch’elli eran pria,18

onde lì molte volte si ripiagne
per la puntura de la rimembranza,
che solo a’ pïi dà de le calcagne;21

sì vid’io lì, ma di miglior sembianza
secondo l’artificio, figurato
quanto per via di fuor del monte avanza.24

Vedea colui che fu nobil creato
più ch’altra creatura, giù dal cielo
folgoreggiando scender, da l’un lato.27

Vedëa Brïareo fitto dal telo
celestïal giacer, da l’altra parte,
grave a la terra per lo mortal gelo.30

Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
armati ancora, intorno al padre loro,
mirar le membra d’i Giganti sparte.33

Vedea Nembròt a piè del gran lavoro
quasi smarrito, e riguardar le genti
che ’n Sennaàr con lui superbi fuoro.36

O Nïobè, con che occhi dolenti
vedea io te segnata in su la strada,
tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!39

O Saùl, come in su la propria spada
quivi parevi morto in Gelboè,
che poi non sentì pioggia né rugiada!42

O folle Aragne, sì vedea io te
già mezza ragna, trista in su li stracci
de l’opera che mal per te si fé.45

O Roboàm, già non par che minacci
quivi ’l tuo segno; ma pien di spavento
nel porta un carro, sanza ch’altri il cacci.48

Mostrava ancor lo duro pavimento
come Almeon a sua madre fé caro
parer lo sventurato addornamento.51

Mostrava come i figli si gittaro
sovra Sennacherìb dentro dal tempio,
e come, morto lui, quivi il lasciaro.54

Mostrava la ruina e ’l crudo scempio
che fé Tamiri, quando disse a Ciro:
"Sangue sitisti, e io di sangue t’empio".57

Mostrava come in rotta si fuggiro
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
e anche le reliquie del martiro.60

Vedeva Troia in cenere e in caverne;
o Ilïón, come te basso e vile
mostrava il segno che lì si discerne!63

Qual di pennel fu maestro o di stile
che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi
mirar farieno uno ingegno sottile?66

Morti li morti e i vivi parean vivi:
non vide mei di me chi vide il vero,
quant’io calcai, fin che chinato givi.69

Or superbite, e via col viso altero,
figliuoli d’Eva, e non chinate il volto
sì che veggiate il vostro mal sentero!
72

Più era già per noi del monte vòlto
e del cammin del sole assai più speso
che non stimava l’animo non sciolto,75

quando colui che sempre innanzi atteso
andava, cominciò: "Drizza la testa;
non è più tempo di gir sì sospeso.78

Vedi colà un angel che s’appresta
per venir verso noi; vedi che torna
dal servigio del dì l’ancella sesta.81

Di reverenza il viso e li atti addorna,
sì che i diletti lo ’nvïarci in suso;
pensa che questo dì mai non raggiorna!".84

Io era ben del suo ammonir uso
pur di non perder tempo, sì che ’n quella
materia non potea parlarmi chiuso.87

A noi venìa la creatura bella,
biancovestito e ne la faccia quale
par tremolando mattutina stella.
90

Le braccia aperse, e indi aperse l’ale;
disse: "Venite: qui son presso i gradi,
e agevolemente omai si sale.93

A questo invito vegnon molto radi:
o gente umana, per volar sù nata,
perché a poco vento così cadi?
".96

Menocci ove la roccia era tagliata;
quivi mi batté l’ali per la fronte;
poi mi promise sicura l’andata.99

Come a man destra, per salire al monte
dove siede la chiesa che soggioga
la ben guidata sopra Rubaconte,102

si rompe del montar l’ardita foga
per le scalee che si fero ad etade
ch’era sicuro il quaderno e la doga;105

così s’allenta la ripa che cade
quivi ben ratta da l’altro girone;
ma quinci e quindi l’alta pietra rade.108

Noi volgendo ivi le nostre persone,
’Beati pauperes spiritu!’ voci
cantaron sì, che nol diria sermone.111

Ahi quanto son diverse quelle foci
da l’infernali! ché quivi per canti
s’entra, e là giù per lamenti feroci.
114

Già montavam su per li scaglion santi,
ed esser mi parea troppo più lieve
che per lo pian non mi parea davanti.117

Ond’io: "Maestro, dì, qual cosa greve
levata s’è da me, che nulla quasi
per me fatica, andando, si riceve?".120

Rispuose: "Quando i P che son rimasi
ancor nel volto tuo presso che stinti,
saranno, com’è l’un, del tutto rasi,123

fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,
che non pur non fatica sentiranno,
ma fia diletto loro esser sù pinti".126

Allor fec’io come color che vanno
con cosa in capo non da lor saputa,
se non che ’ cenni altrui sospecciar fanno;129

per che la mano ad accertar s’aiuta,
e cerca e truova e quello officio adempie
che non si può fornir per la veduta;132

e con le dita de la destra scempie
trovai pur sei le lettere che ’ncise
quel da le chiavi a me sovra le tempie:135

a che guardando, il mio duca sorrise.

SERVIZI SOCIALI
Dante Alighieri
Ott 12

700 ANNI DALLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI - CANTO II PURGATORIO

Già era 'l sole a l'orizzonte giunto
lo cui meridïan cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto
;3

e la notte, che opposita a lui cerchia,
uscia di Gange fuor con le Bilance,
che le caggion di man quando soverchia;6

sì che le bianche e le vermiglie guance,
là dov’i’ era, de la bella Aurora
per troppa etate divenivan rance.9

Noi eravam lunghesso mare ancora,
come gente che pensa a suo cammino,
che va col cuore e col corpo dimora.
12

Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
per li grossi vapor Marte rosseggia
giù nel ponente sovra ’l suol marino,15

cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia,
un lume per lo mar venir sì ratto,
che ’l muover suo nessun volar pareggia.18

Dal qual com’io un poco ebbi ritratto
l’occhio per domandar lo duca mio,
rividil più lucente e maggior fatto.21

Poi d’ogne lato ad esso m’appario
un non sapeva che bianco, e di sotto
a poco a poco un altro a lui uscìo.24

Lo mio maestro ancor non facea motto,
mentre che i primi bianchi apparver ali;
allor che ben conobbe il galeotto,27

gridò: "Fa, fa che le ginocchia cali.
Ecco l’angel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di sì fatti officiali.30

Vedi che sdegna li argomenti umani,
sì che remo non vuol, né altro velo
che l’ali sue, tra liti sì lontani.33

Vedi come l’ ha dritte verso ’l cielo,
trattando l’aere con l’etterne penne,
che non si mutan come mortal pelo".36

Poi, come più e più verso noi venne
l’uccel divino, più chiaro appariva:
per che l’occhio da presso nol sostenne,39

ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
con un vasello snelletto e leggero,
tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva.42

Da poppa stava il celestial nocchiero,
tal che faria beato pur descripto;
e più di cento spirti entro sediero.45

’In exitu Isräel de Aegypto’
cantavan tutti insieme ad una voce
con quanto di quel salmo è poscia scripto.48

Poi fece il segno lor di santa croce;
ond’ei si gittar tutti in su la piaggia:
ed el sen gì, come venne, veloce.51

La turba che rimase lì, selvaggia
parea del loco, rimirando intorno
come colui che nove cose assaggia.54

Da tutte parti saettava il giorno
lo sol, ch’avea con le saette conte
di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno,57

quando la nova gente alzò la fronte
ver’ noi, dicendo a noi: "Se voi sapete,
mostratene la via di gire al monte".60

E Virgilio rispuose: "Voi credete
forse che siamo esperti d’esto loco;
ma noi siam peregrin come voi siete.63

Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
per altra via, che fu sì aspra e forte,
che lo salire omai ne parrà gioco".66

L’anime, che si fuor di me accorte,
per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo,
maravigliando diventaro smorte.69

E come a messagger che porta ulivo
tragge la gente per udir novelle,
e di calcar nessun si mostra schivo,72

così al viso mio s’affisar quelle
anime fortunate tutte quante,
quasi oblïando d’ire a farsi belle.75

Io vidi una di lor trarresi avante
per abbracciarmi, con sì grande affetto,
che mosse me a far lo somigliante.78

Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.81

Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.84

Soavemente disse ch’io posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.87

Rispuosemi: "Così com’io t’amai
nel mortal corpo, così t’amo sciolta:
però m’arresto; ma tu perché vai?".90

"Casella mio, per tornar altra volta
là dov’io son, fo io questo vïaggio",
diss’io; "ma a te com’è tanta ora tolta?".93

Ed elli a me: "Nessun m’è fatto oltraggio,
se quei che leva quando e cui li piace,
più volte m’ ha negato esto passaggio;96

ché di giusto voler lo suo si face:
veramente da tre mesi elli ha tolto
chi ha voluto intrar, con tutta pace.99

Ond’io, ch’era ora a la marina vòlto
dove l’acqua di Tevero s’insala,
benignamente fu’ da lui ricolto.102

A quella foce ha elli or dritta l’ala,
però che sempre quivi si ricoglie
qual verso Acheronte non si cala".105

E io: "Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a l’amoroso canto
che mi solea quetar tutte mie doglie,108

di ciò ti piaccia consolare alquanto
l’anima mia, che, con la sua persona
venendo qui, è affannata tanto!".111

’Amor che ne la mente mi ragiona’
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona.114

Lo mio maestro e io e quella gente
ch’eran con lui parevan sì contenti,
come a nessun toccasse altro la mente.117

Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
gridando: "Che è ciò, spiriti lenti?120

qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
ch’esser non lascia a voi Dio manifesto".123

Come quando, cogliendo biado o loglio,
li colombi adunati a la pastura,
queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,126

se cosa appare ond’elli abbian paura,
subitamente lasciano star l’esca,
perch’assaliti son da maggior cura;129

così vid’io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,
com’om che va, né sa dove rïesca;132

né la nostra partita fu men tosta.

SERVIZI SOCIALI
Dante Alighieri
Set 06

700 ANNI DALLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI - CANTO XI PURGATORIO

"O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch’ai primi effetti di là sù tu hai,3

laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore
da ogne creatura, com’è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.6

Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.9

Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de’ suoi.12

Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s’affanna.15

E come noi lo mal ch’avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.18

Nostra virtù che di legger s’adona,
non spermentar con l’antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.21

Quest’ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro".24

Così a sé e noi buona ramogna
quell’ombre orando, andavan sotto ’l pondo,
simile a quel che talvolta si sogna,27

disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo.30

Se di là sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei c’ hanno al voler buona radice?33

Ben si de’ loro atar lavar le note
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote.36

"Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
tosto, sì che possiate muover l’ala,
che secondo il disio vostro vi lievi,39

mostrate da qual mano inver’ la scala
si va più corto; e se c’è più d’un varco,
quel ne ’nsegnate che men erto cala;42

ché questi che vien meco, per lo ’ncarco
de la carne d’Adamo onde si veste,
al montar sù, contra sua voglia, è parco".45

Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu’ io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;48

ma fu detto: "A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.51

E s’io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,54

cotesti, ch’ancor vive e non si noma,
guardere’ io, per veder s’i’ ’l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.57

Io fui latino e nato d’un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se ’l nome suo già mai fu vosco.60

L’antico sangue e l’opere leggiadre
d’i miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre,63

ogn’uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante.66

Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.69

E qui convien ch’io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch’io nol fe’ tra ’ vivi, qui tra ’ morti".72

Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li ’mpaccia,75

e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.78

"Oh!", diss’io lui, "non se’ tu Oderisi,
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
ch’alluminar chiamata è in Parisi?".81

"Frate", diss’elli, "più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l’onore è tutto or suo, e mio in parte.84

Ben non sare’ io stato sì cortese
mentre ch’io vissi, per lo gran disio
de l’eccellenza ove mio core intese.87

Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.90

Oh vana gloria de l'umane posse!
com' poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l'etati grosse!93

Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura.96

Così ha tolto l’uno a l’altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l’uno e l’altro caccerà del nido.99

Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.
102

Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il ’pappo’ e ’l ’dindi’,105

pria che passin mill’anni? ch’è più corto
spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto.108

Colui che del cammin sì poco piglia
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia,111

ond’era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo sì com’ora è putta.
114

La vostra nominanza è color d’erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba".117

E io a lui: "Tuo vero dir m’incora
bona umiltà, e gran tumor m’appiani;
ma chi è quei di cui tu parlavi ora?".120

"Quelli è", rispuose, "Provenzan Salvani;
ed è qui perché fu presuntüoso
a recar Siena tutta a le sue mani.123

Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso".126

E io: "Se quello spirito ch’attende,
pria che si penta, l’orlo de la vita,
qua giù dimora e qua sù non ascende,129

se buona orazïon lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita?".132

"Quando vivea più glorïoso", disse,
"liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s’affisse;135

e lì, per trar l’amico suo di pena,
ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena.138

Più non dirò, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini
faranno sì che tu potrai chiosarlo.141